mercoledì 12 maggio 2021

Le mie riflessioni sulla scuola italiana ai tempi della DAD


Quando i fratelli Lumiere inventarono il cinematografo, il 28 dicembre 1895, venne a crearsi un nuovo mezzo per raccontare storie. Nessuno pensò di mettere un libro davanti ad una cinepresa, con qualcuno a girare pagina ogni due minuti: nacque invece una nuova arte, che qualcuno arrivò a chiamare la decima musa, un nuovo modo di raccontare storie.

Questa premessa è per dire che non sempre il modo migliore di usare un nuovo media è replicare su di esso quanto già si fa su altri media, in genere è il caso di inventare nuove forme espressive.

Marzo 2020, ormai più di un anno fa. In Italia arriva la pandemia. La scuola è tra le prime attività ad essere chiusa.
In tempi brevi la scuola deve trovare un modo per ripristinare l’attività didattica.
La cosa avviene non senza difficoltà. A parte alcune luminose eccezioni, la classe docente, dal punto di vista della confidenza con le tecnologie, sembra uscita direttamente dagli anni 50.
I primi sistemi di video conferenza per Personal Computer di larga diffusione sono del 1996 (Microsoft NetMeeting per Windows 95, rilasciato a maggio del 1996), ovvero 24 (VENTIQUATTRO) anni prima della pandemia. Ciononostante, professori quarantenni, che quindi nel 1996 erano al ginnasio, sembra che vedano per la prima volta queste “nuove” diavolerie tecnologiche.
Professori. Di scuole medie e licei.
Ovvero intellettuali il cui compito  sarebbe quello di accompagnare le nuove generazioni verso il futuro.

Prima i singoli docenti, poi le diverse scuole, si attrezzano per trovare soluzioni tecnologiche che consentano la didattica a distanza. Ovviamente, e rigorosamente, in ordine sparso: chi usa Google Meet, chi Zoom, chi Webex … Si scopre che questo paese, dove tutti hanno un telefonino di ultima generazione, non ha, invece, infrastrutture adeguate, nè, soprattutto, computer, più utili dei telefoni per seguire lezioni e fare compiti, e neanche competenze.
Il primo risultato, immediato, è un coro instancabile da parte dei professori: “la didattica a distanza non può sostituire la didattica in presenza” ripetuto come una cantilena in qualsiasi occasione … come se la scelta di chiudere le scuole fosse un esperimento sociale.

Piano piano, nel giro di qualche settimana, la classe docente riesce, per quanto rozzamente, a gestire le diavolerie tecnologiche e a mettere la DAD a regime. Ma l’unica cosa che riesce a fare è mettere se stessa dietro lo schermo.
L’attività  didattica a distanza è identica a quella in presenza.
La lezione frontale.
Il libro davanti alla cinepresa.

Si pretende, restando seri, che i ragazzi resistano cinque, sei ore davanti ad un computer che parla. E che spesso è ancora più noioso della lezione frontale.

Sempre restando seri, i professori scoprono che i ragazzi copiano da Internet.

Sono più di vent’anni che su Internet si trovano anche le versioni di latino e di greco, basta saper cercare.

Io non ho la soluzione in tasca, sia chiaro, ma non mi si venga a dire che i ragazzi non sono stati seri.

Comunque, è ormai dato per scontato che la DAD, purtroppo, abbia comportato un rallentamento nel progresso scolastico dei ragazzi.

Ma fino a qui ho parlato solo della parte “competenze”.

Il danno maggiore della DAD, almeno secondo me, non è affatto il rallentamento del progresso scolastico, ma la mancata crescita psicologica, emotiva, relazionale dovuta all’isolamento.
Nel periodo dell’adolescenza il confronto con i coetanei, con l’autorità, con il mondo al di fuori della famiglia è fondamentale per la crescita degli esseri umani e dei cittadini.
Il danno, sotto questo aspetto, è, secondo me, ma non solo secondo me, ENORMEMENTE maggiore del non completamento dei programmi ministeriali. Ma duole constatare che questo punto pare non preoccupi nessuno, o molte poche persone.

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